Tra le rose che ondeggiano al vento, Reyyan e Gul si incamminano verso il giardino dei ricordi, dove una promessa di serenità sembra finalmente prendere forma. È una giornata luminosa, il cielo è limpido, e i cuori, anche se appesantiti da ciò che è stato, cercano la pace.

“Hola mamá, vamos en camino con Gul…” così inizia il messaggio che Reyyan invia a sua madre. Il tono è leggero, pieno di affetto, e lascia intendere che oggi, almeno per un po’, ci sarà spazio per la felicità. Si sono lasciati alle spalle l’ospedale, dove hanno parlato con il medico riguardo alla salute della piccola Gul. Nulla di grave, solo controlli. Ma quella visita, comunque, fa riaffiorare in Reyyan la paura sottile di perdere chi ama.

Durante il tragitto, Gul – con la sua energia contagiosa – propone un gioco a Miran: un trabalenguas. Ride, lo sfida e vince. Anche Reyyan sorride: per un momento, non esistono guerre familiari, segreti o vendette. Esistono solo loro tre. Una famiglia. Un istante puro, prezioso.

Arrivati al giardino delle rose, Gul corre tra i fiori, convinta – come le ha insegnato il Signor Yusuf – che le piante abbiano un’anima e possano rispondere se ascoltate con il cuore. Miran e Reyyan la osservano mentre parla ai petali con occhi pieni di stupore. È in questa innocenza che si rifugia la speranza.

Il Signor Yusuf, anziano saggio che conosce ogni segreto di quella terra, si avvicina a Reyyan con un sorriso gentile. La accoglie con affetto, rivelando che lavora nel ranch da oltre sessant’anni. Era amico del nonno di Reyyan fin dall’infanzia. Condivide con lei ricordi preziosi: “Suo nonno era un uomo di cuore, correva tra queste colline da ragazzo… ma poi tutto cambiò.”

Yusuf racconta di un’estate lontana, quando gli Shadoglu lasciavano la villa per trasferirsi nella tenuta estiva. I bambini correvano liberi tra i campi, proprio come fa oggi Gul. Ma quell’estate fu segnata dal dolore: un terribile incendio distrusse la capanna. Nessuno ne uscì vivo. Tra le fiamme, si persero vite e innocenze. E Nasuh… cambiò per sempre.

“Da quel giorno non fu più lo stesso. Si isolò dal mondo,” dice Yusuf. E Reyyan si rende conto che, forse, l’uomo duro e rigido che ha conosciuto è il risultato di una ferita mai rimarginata.

Il racconto tocca Reyyan nel profondo. Comprende che i suoi genitori non sono stati gli unici a vivere nella sofferenza. Che ogni generazione della sua famiglia ha portato su di sé un peso, una colpa, un dolore taciuto. Nasuh, suo nonno, ha perso qualcosa tra quelle fiamme, qualcosa che nessuno ha mai saputo restituirgli.

Mentre Reyyan riflette, Gul si avvicina a un cespuglio e ride, annusando una rosa. “Huele delicioso,” esclama, abbandonandosi a un momento di pura gioia. Miran la guarda e, con occhi umidi, ringrazia silenziosamente per questo giorno. Un giorno semplice. Ma pieno di significato.

Poi tutto si ferma. Reyyan, accanto a Yusuf, ringrazia l’uomo per le sue parole. “Muchas gracias,” sussurra. Ma dentro di sé, la tempesta torna a muoversi. Le parole sull’incendio, sulla trasformazione di Nasuh, risuonano come un eco. Non è solo la storia di una tragedia… è l’origine della loro maledizione.

In quel giardino – testimone di giochi infantili e tragedie taciute – Reyyan comprende che il passato non è mai davvero sepolto. Che ogni verità nascosta torna, prima o poi, a galla. E che per spezzare la catena dell’odio, bisogna risalire fino all’incendio che ha bruciato non solo legno e fieno, ma anche il cuore dei suoi avi.

Mentre Reyyan si allontana con Gul e Miran, un pensiero prende forma nella sua mente: “Perdonare non è dimenticare. È scegliere di non essere prigionieri del dolore.”