Silenzio. Poi uno sparo. Un urlo nel vuoto. E una vita che rischia di spegnersi tra le braccia della donna che lo ama più di se stessa. Hercai torna con una scena straziante, di quelle che spezzano il fiato e lasciano il cuore sospeso: Miran è ferito, gravemente. E Reyan, in lacrime, fa l’impossibile per non lasciarlo andare.
La scena si apre in un luogo isolato, immerso nel tramonto, dove il silenzio è spezzato solo da un colpo di pistola e dal rumore di passi che corrono. Reyan arriva trafelata, il cuore le martella nel petto, e lo trova lì: Miran, riverso a terra, il corpo immobile, il sangue che si allarga sulla camicia. “Miran!”, urla, inginocchiandosi accanto a lui, la voce spezzata, le mani che tremano.
Lui apre appena gli occhi. Un filo di voce: “Non piangere, Reyan… io sono qui.” Ma il suo viso è pallido, le labbra livide. Lei stringe il suo volto tra le mani, prega, lo implora: “Non chiudere gli occhi, ti prego! Non lasciarmi! Non ora!” Ma Miran sorride debolmente. “Tu sei la mia forza… anche se il mio corpo cede, il mio cuore è ancora tuo.”
Reyan si strappa un pezzo del suo vestito per tamponare la ferita. Le mani le tremano, ma non cede. “Resisti, amore mio. Ti salverò io, te lo giuro. Non finirà così.” Il tempo sembra essersi fermato. La paura, il dolore, la rabbia… tutto si concentra in quel momento. E nel cuore di Reyan, un’unica certezza: non può perderlo.
In lontananza si sentono delle voci. Reyan si volta, grida aiuto. Ma nessuno risponde. La strada è deserta. Allora prende una decisione folle, disperata. Lo solleva, lo trascina, passo dopo passo, con le braccia stanche ma il cuore indomito. Ogni passo è una battaglia. Miran geme, ma non si lamenta. “Sei più forte di quanto credi”, le sussurra.
Le immagini si alternano tra il presente e i ricordi: il loro primo incontro, il primo bacio, le promesse fatte sotto le stelle. Reyan si aggrappa a quei momenti. “Hai detto che mi avresti amato per sempre… ora dimostramelo. Resta con me, Miran.”
Finalmente una macchina. Reyan si para in mezzo alla strada, le braccia aperte, le lacrime agli occhi. Un anziano contadino si ferma, capisce subito la gravità. La aiuta a caricare Miran e corrono verso l’ospedale più vicino. Il viaggio è un’agonia. Ogni secondo conta. Reyan gli parla ininterrottamente: “Ti ricordi il nome che avevamo scelto per il nostro bambino? Non puoi lasciarci… non ora, non così.”
All’ospedale, i medici la separano da lui. Lei urla, si dispera, vuole entrare con lui. La trattengono. Le dicono di aspettare. Ma Reyan non è una donna che aspetta. È una guerriera. Cammina avanti e indietro nel corridoio, le mani giunte, le labbra in preghiera. Ogni medico che esce, ogni rumore dietro quella porta è una stilettata al cuore.
Dopo ore, finalmente, il dottore le si avvicina. Il viso è serio. “È stato un colpo profondo, ha perso molto sangue. Ma è vivo. Ed è grazie a lei. Se non lo avesse trovato in tempo, non ce l’avrebbe fatta.” Reyan crolla in ginocchio, ma questa volta per sollievo.
Poco dopo, entra nella stanza. Miran è lì, pallido ma sveglio. La guarda. “Sei tu che mi hai salvato.” Lei si avvicina, gli prende la mano. “No. È stato l’amore che ci tiene in vita.” Si abbracciano. Le lacrime si confondono. Il silenzio torna, ma è un silenzio pieno. Di vita. Di speranza. La scena si chiude con Reyan accanto al letto, la mano su quella di Miran, il viso poggiato sul petto dell’uomo che ha rischiato di perdere. Fuori, la notte è scesa. Ma per loro, un nuovo giorno è cominciato.