Nella penombra della notte, tutto tace… tranne il cuore di una madre che batte all’unisono con il suo bambino. Reyan dorme agitata, stretta nel suo letto, ma la sua mano è ferma sul ventre, quasi a proteggere ciò che ama più della sua stessa vita. Il viso è teso, le ciglia tremano. E poi, il buio si fa incubo.
Una scena devastante la assale nel sonno: granate, fuoco, caos… e quella voce. La voce disperata di Miran che urla il suo nome. “Resisti, Reyan! Resisti, querida. Io ti salverò!” Ma lei non riesce a fuggire, qualcosa la trattiene. Una donna – la signora Azize – le tende la mano e cerca di farle bere qualcosa. Le sussurra: “Te vas a salvar, niña” – ti salverai, bambina. Ma la scena esplode. Tutto si rompe, tutto diventa nero.
Reyan si sveglia di colpo, il respiro spezzato, gli occhi pieni di terrore. Sta per gridare, ma una mano la stringe: è Miran. La tiene tra le braccia, la culla, la calma. “Tranquilla, está bien, mi amor. Era solo un sogno. Ya pasó.” Ma per Reyan non è “solo” un sogno. È un presagio. È la paura che da settimane la divora dentro.
Con voce spezzata, confessa: “Ho sognato di perdere il nostro bambino. Ancora una volta”. Ogni notte è una tortura. Ogni giorno è una lotta contro il timore che qualcosa di irreparabile possa accadere. Eppure Miran, con la dolcezza di chi ama profondamente, le ricorda ciò che conta: “Da quando sai di essere madre, hai paura. Ma è normale. Il nostro bambino sta bene. Lo prometto.”
Le prende la mano, la posa sul ventre rotondo. “Tu e la nostra piccola lenteja siete forti. E siete amati.” Ma Reyan, ancora scossa, continua a ricordare il sogno. “La signora Azize era lì. Mi parlava. Cercava di farmi bere qualcosa. Poi… poi la granata è caduta.” È come se il passato e il futuro si fossero fusi in quell’incubo.
Miran ascolta. Non giudica. Non minimizza. Ma sa che non può permettere alla paura di vincere. “Non lo dimenticherai se continui a parlarne”, le dice con fermezza. “Devi liberarti da quel peso. Devi fidarti.” E poi, con dolce determinazione, le ricorda una promessa: quella fatta alla dottoressa.
“Devi prendere la medicina. Non solo per te. Ma per il nostro bambino.” Reyan annuisce. Sa che ha ragione. Ma ciò che la tormenta non è solo fisico. È l’ansia, il senso di impotenza, il timore di non essere all’altezza. Prende il bicchiere, beve, e lo fa tremando. Poi si accoccola tra le braccia di Miran, come se solo lì potesse sentirsi al sicuro.
Le note della musica si alzano dolcemente, accompagnano i sospiri, le carezze, le parole non dette. Miran la stringe a sé, le bacia i capelli, le ripete che tutto andrà bene. Eppure, nel suo sguardo, anche lui nasconde un’ombra. Sa che il pericolo non è mai davvero lontano. Che il passato non è mai del tutto sepolto. Ma per Reyan, in quel momento, finge. Per lei è luce, è forza, è speranza.
Intanto, fuori da quella stanza, il mondo continua a ruotare. Le minacce sono reali. Le vendette non sono finite. Ma nel silenzio della notte, in quella casa fatta di sogni e paure, c’è una promessa che resiste a tutto: nessuno farà del male al loro bambino.