Il silenzio viene rotto da una melodia inquietante. Fusun cammina lentamente tra i resti di ciò che un tempo era ordine. La sua voce si sovrappone alla musica, sussurrando parole cariche di rancore: “Todo tiene que estar en su correcto orden… volveré a ser como antes…” Una promessa fatta a se stessa, un giuramento oscuro: tornare forte, spietata, vendicativa.
Davanti a lei si erge la figura di Azize, ancora determinata, ma logorata dagli anni e dai fantasmi del passato. Le due donne si fronteggiano con parole affilate. Fusun non è lì per pietà, né per riconciliazione. È lì per distruggere. La sua voce, tagliente come un coltello, accusa Azize: “¿Qué es lo que quieres, Fusun? ¿Qué podría querer yo de ti?” La verità è più agghiacciante di quanto Azize potesse immaginare: Fusun ha messo le mani su uno dei suoi nipoti, e ora vuole farne un’arma.
“Non sei riuscita a trasformare Miran in un assassino,” sussurra Fusun con un sorriso crudele, “ma io ci riuscirò. Sarà lui a ucciderti. E non dovrò aspettare nove mesi.”
Quelle parole colpiscono Azize come una frustata. Fusun ha in mente un piano spietato, e Reyyan è il bersaglio. L’odio di Fusun non conosce limiti, e la sua vendetta non accetta compromessi. Non ci sarà tregua, non ci sarà redenzione. Solo distruzione.
Intanto, Reyyan è ignara di ciò che sta per accadere. Un momento di tranquillità viene interrotto da una telefonata carica di panico. Dall’altra parte, una voce concitata: “¡Reyyan, contesta! Es urgente!” Ma il telefono tace. Reyyan è altrove, intenta a occuparsi delle sue piante, delle sue radici. Un dettaglio simbolico: mentre lei cerca di far crescere la vita, qualcuno trama per strapparla via.
Nel frattempo, Hazar manda un regalo. Un gesto semplice, pieno di affetto, ma carico di nostalgia. Reyyan lo accoglie con un sorriso malinconico. È uno dei pochi momenti di pace che le restano. Presto, il caos tornerà.
Una chiamata arriva, e stavolta Reyyan risponde. È un amico fidato, le parla di un problema agricolo, delle radici mancanti per i suoi alberi. Lei, sempre pragmatica, si offre di risolvere tutto il giorno dopo. Ma il destino ha altri piani.
Altrove, Fusun ha già dato l’ordine: Reyyan deve soffrire. La sua voce è ferma, glaciale. “Ha llegado la hora de trabajar”, dice ai suoi uomini. È il momento di agire. Il veleno è pronto. La vendetta ha preso forma.
Reyyan, ancora all’oscuro, si gode un pasto tranquillo. Ma il pericolo si avvicina. Ogni secondo che passa, la morsa si stringe. Il telefono squilla di nuovo, ma non c’è risposta. Anusai corre, grida, chiede a Reyyan di rispondere. “¡Contesta, Reyyan, por favor!”
Ma Reyyan è lontana, e Fusun è vicina. La sua determinazione è un fiume in piena. Ha deciso: non aspetterà nove mesi per distruggere la vita della donna che considera responsabile di tutto il suo dolore.
Nel cuore della notte, Fusun organizza ogni dettaglio. Vuole colpire Reyyan quando è più vulnerabile. Sa che Reyyan è incinta, sa che questo bambino rappresenta speranza, luce, futuro. Ed è proprio questo che vuole spezzare.
Azize, intuendo il pericolo, cerca disperatamente di avvertire Reyyan. Ma non è semplice. Il tempo scorre, e ogni tentativo cade nel vuoto. Reyyan non risponde. La tensione cresce.
Nel frattempo, Miran è assente. Un’assenza che pesa come un macigno. Lui, che ha giurato di proteggere Reyyan, ora non è al suo fianco. Ma l’amore non basta a fermare Fusun. Lei agisce, colpisce, distrugge. Ha trasformato il dolore in odio, e l’odio in azione.
La tata di Reyyan nota qualcosa di strano. Gli uomini di Fusun si aggirano nei dintorni. I loro sguardi sono sfuggenti, i loro passi silenziosi. Ma la minaccia è reale. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola diventa un segnale.
Poi arriva il colpo di scena. Un servitore di Hazar consegna a Reyyan un pacco. Dentro, un messaggio criptico. È il primo vero indizio del pericolo. Reyyan lo apre con mani tremanti. Il contenuto è semplice, ma il significato è devastante: “Non fidarti di nessuno.”
Il panico prende il sopravvento. Reyyan tenta di mettersi in salvo. Prende il telefono, chiama Miran, ma la linea è disturbata. Le parole si perdono. “Non tornare a casa,” le dice una voce allarmata, ma è troppo tardi. Fusun è già sulle sue tracce.
La villa viene circondata. Gli uomini di Fusun si muovono come ombre. Tutti sanno che qualcosa sta per accadere, ma nessuno riesce a fermarla. La vendetta ha preso il sopravvento. E Reyyan, fragile e sola, è nel mirino.
Nel cuore della notte, l’oscurità avvolge tutto. Reyyan, vestita di bianco, cammina nel giardino. Sente i passi, sente il freddo. Poi, d’improvviso, una figura si avvicina. Non ha il tempo di reagire.
Una mano la afferra. Un sussurro. Una minaccia. Poi il buio.
La puntata si chiude con il telefono di Reyyan che squilla, abbandonato sull’erba. Nessuno risponde. Solo il vento soffia tra gli alberi, portando via ogni speranza.
Tradimento, vendetta, maternità e paura si intrecciano in questo episodio di Hercai, lasciando gli spettatori col fiato sospeso. Ma questa è solo l’inizio. Il destino di Reyyan è appeso a un filo… e Fusun non ha ancora detto l’ultima parola.